Culturactif: tutto sul progetto Ground Zero
Ground Zero, #02/Cibo, Lugano, Cascio Editore, 2010.
Intervista alla redazione di Ground Zero, di Roberta Deambrosi per Culturactif.
Ground Zero, una tabula rasa , un terreno lisciato e pronto, una base nuova da cui si dipana l’affascinante progetto di scandaglio della realtà ticinese sotto forma di pubblicazione periodica, un’iniziativa che riunisce voci, occhi, orecchie, mani della giovane – anche di spirito, non solo all’anagrafe – letteratura e arte visiva ticinese. Il primo numero, uscito a dicembre del 2009, aveva come filo rosso il tema dei luoghi, ora è uscito il numero due: costruito quasi come un libro-gioco presenta testi e immagini sapientemente abbinati che esplorano la tematica del cibo. Tommaso Soldini, uno dei quattro redattori, risponde alle nostre domande.
Come e perché nasce la rivista? Di quale configurazione (pre- o post-) astrale ha necessitato Ground Zero per vedere la luce?
La caduta delle torri gemelle ha segnato la vita di tutti. Quella individuale e quella collettiva. Si sono aperti gli anni zero e forse sono cadute alcune frontiere o almeno si sono incrinate. Frontiere reali ma anche frontiere interiori, quelle che alcune forze
politiche cercano disperatamente di rattoppare, immemori della storia e del suo corso, incapaci di capire che possono solo rallentare un fenomeno diventato necessario nell’altrove. Chi siamo diventati? Chi stiamo diventando? Quali sono i valori che vogliamo difendere o conquistare, o disprezzare? Questo è forse il fronte comune. La consapevolezza di non avere più sotto mano il dizionario della realtà. Siamo qui e comunichiamo più che in ogni altro momento della storia dell’umanità, però è venuta meno la capacità di capirci per sottintesi, allusioni, gesti. Ground Zero nasce perché volevamo dare forma non a una visione del mondo, almeno al tentativo di osservare da zero quel che ci sta accadendo. Il più possibile senza pregiudizi, senza teorie rimasticate o mal digerite. Così. Viandanti senza bussola che cartografano il territorio e la sua gente, mossi dalle curiosità, dagli usi, dagli abusi.
Come si è costituita la redazione? Qual è stato Il motore d’avvio?
Ground Zero nasce nelle teste di quattro persone: Gregorio Cascio, Piotr Bugno (che ora non fa più parte del progetto), Tommaso Soldini e Giona Mattei. Si sono incontrati perché avevano una voglia in comune, quella di mettere il Ticino sotto pressione. C’era il desiderio, o la speranza, in alcuni casi la certezza che questa terra fosse abitata da persone capaci, volonterose, coraggiose. Persone che sarebbero state felici di costruire un nuovo spazio di libertà, persone che spesso si accontentavano di sognare perché i posti di libertà espressiva o non c’erano oppure erano stati tutti presi. Noi abbiamo solo pensato che lo spazio c’era.
Ideare, coordinare e produrre una pubblicazione come Ground Zero non è certamente affare da nulla: i materiali sono tanti, l’idea che li lega è articolata… Come si organizza il lavoro redazionale?
Per prima cosa c’è stato il lavoro di ideazione complessiva, quello ci ha preso davvero molto tempo. È meglio non dire quanto. La volontà di lavorare e di far dialogare diversi linguaggi è affascinante e per noi irrinunciabile, irrinunciabile specchio del mondo in cui ci muoviamo, ma è anche fonte di molto lavoro. Proprio perché ogni contenuto della rivista va pensato nella sua molteplice potenzialità espressiva ma deve anche entrare a far parte di un tutto che, pur rimanendo parziale rispetto alla complessità dell’esistente, c’è e ha le sue esigenze.
All’inizio ci siamo divisi i compiti rispettando le competenze di ognuno. Gregorio si occupava della parte più visiva, Tommaso e Giona di quella testuale, Margherita Cascio, che è con noi dal secondo numero, della parte amministrativa. Poi però le cose si sono mischiate, come inevitabile. Ogni contenuto viene discusso da tutti, al tavolo, al telefono. Anche se il disegno generale dei singoli numeri c’è già, un numero lo chiudiamo solo a pochi giorni dalla stampa, anche perché molte idee arrivano all’ultimo minuto, quando qualcuno si accorge che manca quel testo, che quell’argomento proprio non è stato trattato. Anche l’editoriale viene scritto quando la maggior parte dei contenuti è definitiva. Solo così è possibile trasmettere un tentativo di linearità nel magma.
Come vi muovete sul territorio Ticino? Come si riunisce la redazione? Fate videoconferenze skype, oppure avete un ritrovo, uno Stammtisch a cui avete giurato fedeltà eterna?
Pur vivendo tra Lugano e Bellinzona, abbiamo uno Stammtisch a cui non abbiamo giurato fedeltà (bisogna credere nell’eternità per poterlo fare), si tratta del tavolo dello studio grafico di Gregorio Cascio. Ci vediamo lì almeno una volta alla settimana tutti e quattro, molto di più nelle ultime sei settimane, quando il lavoro è in dirittura d’arrivo (e i
nervosismi crescono) e i problemi da risolvere oberano.
I collaboratori a questo n.2 sono quasi una quarantina. Come raccogliete i contributi? Tramite un appello, oppure contattate di volta in volta autori scelti?
Lavoriamo su entrambi i binari. Pubblichiamo un appello sul sito della rivista e sulla pagina di facebook, invitando tutti gli interessati a collaborare, inoltre contattiamo ogni volta degli autori. Spesso le cose nascono strada facendo. Faccio un paio di esempi. Lo scrittore Flavio Stroppini ha avuto modo di conoscere la rivista e ha proposto un suo testo, è nato quindi il contenuto “Riso”; più tardi, a poche settimane dalla stampa, ci è venuta voglia di comporre “Tonno” e così lo abbiamo richiamato per proporgli di scrivere due piccoli racconti per quel contenuto, a partire da una serie di fotografie che siamo andati a scattare in compagnia di Anthony Neuenschwander. Inoltre cerchiamo di dare una veste grafica originale e creativa ad ogni intervento, questo significa che dobbiamo chiedere a un fotografo, a un fumettista, a un artista, di lavorare su un testo già pervenuto. Diciamo che la base è sempre costituita da autori su chiamata, anche perché vogliamo essere sicuri che certi argomenti siano trattati, il resto arriva da solo, ed è più che bene accetto.
Rifiutate contributi? Per quali motivi o quali esigenze?
Questo è un punto dolente, il che significa che ci è capitato di rifiutare dei contenuti. A volte le cose procedono più o meno armoniosamente, altre sono più travagliate e spiacevoli. Perché ci capita? I lavori più facili da rifiutare sono quelli che non rientrano nella linea editoriale. Per esempio, non ci interessano gli articoli d’opinione; i giornali, i media, i blog ne sono pieni. Ground Zero non vuole essere la vetrina degli io. Questo diventa accettabile solo se l’autore si esprime attraverso un linguaggio artistico che dimostra di possedere. E qui nascono i veri problemi, perché a volte non riteniamo riuscito un prodotto che invece appariva tale al suo artefice. La seconda esigenza è dunque quella di proporre dei lavori di buon livello artistico.
Avete tempi definiti, scadenze? Da cosa sono dettati? Oppure lavorate senza obblighi temporali?
Nella nostra testa Ground Zero deve avere cadenza semestrale. Per ora non siamo riusciti a rispettare questo auspicio, tuttavia ci aiuta a non sforare troppo. Tutti e quattro abbiamo anche un (altro) lavoro, che ci permette di sopra-vivere, quindi i tempi della rivista e le esigenze delle nostre singole vite a volte ingaggiano veri e propri incontri di pugilato. L’esserci dati delle scadenze ci permette di affrontare il lavoro nel miglior modo possibile, senza mirare eccessivamente alla perfezione; ci permette anche di ricordare costantemente che l’obiettivo non è solo il singolo numero, è la conclusione del percorso.
I primi due numeri della rivista sono in formato accogliente, più ampio di un A4, stampati su carta spessa, bella, profuma di vera carta, la grafica è molto curata e la qualità delle immagini notevole. L’oggetto esibisce una certa (nel senso di sicura, affermata) artigianalità. Costa 15 fr.: il prezzo di un mojito il sabato sera a Lugano, un’entrata al cinema, o un pomeriggio di tombola… Come fate? Il prezzo rispecchia i costi oppure è “politico”?
Non solo il prezzo non rispecchia i costi, direi che è un insulto al buon senso. E alle nostre tasche. Però viviamo in Ticino, quindi crediamo di aver fatto la cosa giusta. La gente qui è abituata a pagare un caffè due e cinquanta, una birra quattro franchi, un pacchetto di sigarette sette, però storce il naso quando deve aprire il portafogli per la cultura. La cultura dovrebbe essere gratuita. Questo pensiamo. Quei 15 franchi sono un invito a incontrare il prodotto, vogliamo prima di tutto che Ground Zero circoli, venga letto e discusso. Poi penseremo ai soldi. Con il secondo numero è partita una campagna di abbonamenti sostenitori che dovrebbe permetterci di coprire almeno la stampa del numero. Per il terzo siamo in alto mare. Cosa dire? Abbonatevi.
Come è nato il titolo Ground Zero ? La redazione ha indetto per l’occasione una riunione a porte chiuse? È un sogno premonitore di uno dei redattori? È un puro e felice caso? Ci raccontate l’episodio?
Si tratta di un sogno premonitore. Trovare il nome è stato facile e nello stesso tempo difficilissimo. Ci abbiamo perso mesi. Anche perché uno dei pilastri della linea editoriale è l’assenza assoluta di parole inglesi. Abbiamo speso non so quante riunioni per cercare il nome giusto, che avesse a che fare con le macerie, con il sotterraneo, con il Ticino. Alla fine abbiamo scelto “Margine”. Fino a pochi giorni dall’uscita del primo numero. Diciamo che era un nome che non accontentava tutti e che nello stesso tempo non scontentava nessuno, almeno apparentemente. Un giorno però uno di noi ha alzato il telefono e ha chiamato gli altri. Ho deciso, Ground Zero. Ci siamo trovati a cena e ne abbiamo discusso, abbiamo approvato e amato. Noi che rifiutiamo l’inglese abbiamo alla fine intitolato la rivista con un’espressione inglese, americana, globale. Un paradosso, oppure un segno profondo di quel che ci sta accadendo.
“Ground Zero” o “groundzero”, un concetto liberatorio?
Ce lo auguriamo, come vivere altrimenti? Noi vogliamo essere uno spazio fisico di libertà, libertà espressiva che forse è alla base di conquiste anche maggiori. Per ora Ground Zero c’è, chiunque vi può entrare a far parte, scrivendo, fotografando, disegnando (anche solo comprando la rivista o sottoscrivendo un abbonamento). Queste individualità che producono e fruiscono ci sono, pensano; quello che auspichiamo è che per un momento tutti si smetta di esistere come pure singolarità e si sia, si sia membri di un collettivo che dice.
I due primi numeri di Ground Zero raccontano realtà, esperienze, vissuti che certamente non sono unici al nostro territorio. Scegliete però di ancorarli ad esso in maniera inequivocabile attraverso segnali sociolinguistici e topografie circoscritte: lo zackie-boy, la tirata del Ceneri, la Betty Bossy, il Tam Tam, l’interiezione “te”. Addirittura si fa riferimento al “Ticino” e non alla “Svizzera italiana”: un termine, quest’ultimo, troppo legato ad un codice politicamente corretto, o ad una terminologia che rispecchia fragili – desueti? – equilibri confederali?
Quando si è all’estero non si è mai ticinesi, se non negli sporadici incontri con un confederato. Altrimenti si è svizzeri ma soprattutto di Bellinzona, di Lugano, di Genestrerio. In questo momento mi trovo in Marocco, qui sono prima di tutto un europeo, un caucasico, perché il colore della pelle vale più di una dichiarazione dei redditi. Però in Ticino si è ticinesi, lo si sa, proprio perché non lo si dice. Noi non siamo in grado di raccontare la globalità, però abbiamo fatto nostro un concetto già degli antichi romani, quello di cittadinanza, di appartenenza a una terra. Chi si fa la tirata del Ceneri o entra nel tunnel o usa il natel parla una stessa lingua, e questo è un primo passo verso l’aderenza al territorio che si calpesta, si abita, si può aver voglia di conoscere. Gli equilibri confederali non ci interessano se non in seconda istanza. Vale a dire, ci siamo accorti che proprio grazie a queste scelte, così regionali, territoriali, diventiamo interessanti anche per gli altri. Per il festival di letteratura di Soletta, per esempio. È questo piccolo mondo antico che si ritrova nel presente, quel che ci interessa. Esso ci rimanda un’immagine di noi, ci permette di conoscerci e permette a chi lo vuole di incontrarci. È l’eventuale incontro che può portare equilibrio.
Ground Zero non disdegna l’ironia, il gioco e una dichiarata indipendenza nell’affrontare gli argomenti: una necessità, una protezione contro il tedio, uno stratagemma per vendere anche a un pubblico “intellettuale”, per suscitare l’interesse dei giovani, oppure una scelta stilistica?
L’ironia è quel che ci permette di stare insieme, prima di tutto. Ci ritroviamo lì, seduti al tavolo, davanti a noi i testi, gli interventi artistici dei collaboratori. Uno parla di bulimia, uno di anoressia, ci sono le fotografie di una donna obesa, la storia di un gruppo di giovani che beve, sniffa, fuma per riempire i vuoti, i disoccupati, gli emarginati. Non siamo solo noi a volerlo. Questi racconti ci arrivano, sono davanti a noi. Come possiamo dire tutte queste cose senza risultare pedanti e moralisti, catastrofisti o sinistroidi? Come possiamo raccontare il mondo che tutti possono vedere senza dover per forza andare a cercare le classiche cose belle che salvano capra e cavoli? L’ironia. L’ironia è l’arma del pagliaccio che ride in faccia alla morte, è l’arma di chi può piangere per quello che vede ma riesce a trovare le risorse per tirare avanti. Porsi le domande senza aderire ciecamente alle risposte necessarie ma irrispettose della complessità.
Ora tocca a me proporvi un gioco: a ciascuna delle parole estrapolate dalle descrizioni di Ground Zero abbinate un’altra parola, un’espressione che possa se non spiegarla esaustivamente, almeno illuminarla di luce non propria.
Pre-rivista… quelli che… non ambiscono all’eternità post-ideologica… quelli che… il muro, le torri, quasi tutto è caduto pre-politica… quelli che… siamo singolarità espressive in cerca di un approdo post-partitica… quelli che… siamo arrivati dopo gli ultimi partiti pre-confessionale… quelli che… c’erano prima dell’avvento del nuovo credo anti-consumistica… quelli che… fanno fatica a buttare il biglietto di un film che hanno amato pro-materialista… quelli che… fino a prova contraria se picchi un cane quello guaisce anti-identitaria… quelli che… siamo l’umanità liquida pro-corporea… quelli che… nonostante tutto i corpi ci interessano ancora
Ground Zero è nata sapendo di dover morire dopo cinque (giusto?) numeri. Perché questa scelta? È inappellabile? E se alla fine i numeri previsti non bastassero perché le macerie sono più numerose e più rivelatrici di quello che avete/abbiamo sospettato?
Giusto. Cinque numeri e poi basta. La scelta ci è piaciuta subito. Ci ha permesso di affrontare il lavoro con una certa leggerezza. Il lavoro è tanto ma finirà. Inoltre ci ha liberato dal fantasma delle rubriche, un’invenzione straordinaria ma a nostro avviso diventata stucchevole. I giornali sono pieni degli opinionisti di turno che guardano il loro mondo a partire da un orto le cui siepi si sono fatte invalicabili. Noi non ce lo siamo permessi. Ogni volta che leggiamo un testo o guardiamo un’immagine ci chiediamo se
e quanto è specchio del nostro reale. Siamo certi che ci sono più macerie di quelle che siamo riusciti e riusciremo a raccontare. È inevitabile. Tuttavia questa è anche la nostra forza. Il nostro limite. Prima o poi è bene dire basta, è bene permettersi di non avere più le energie, la freschezza per compiere un lavoro dispendioso come questo. È bene sapere che uno spazio di libertà è tale anche perché non è nostro, non deve appartenere a questa redazione, a queste persone. Un domani, forse, se noi riusciremo a trovare le risorse, anche finanziarie, per concludere il progetto, qualcuno avrà voglia di buttarci fuori a calci, di prendere i nostri posti e di andare avanti. Rinnovando, leggendo meglio di noi un mondo che non smetterà di cambiare.
Roberta Deambrosi
En bref et en français
Ground Zero , une tabula rasa , un terrain aplani, une nouvelle base pour “tenter d’observer ce qui est en train de nous arriver en partant de zéro”. Le projet, fascinant est de sonder la réalité tessinoise à travers une publication périodique, en réunissant les voix, les yeux, les oreilles, les mains d’écrivains et de plasticiens de Suisse italienne jeunes de corps et d’esprit. Le premier numéro, publié en décembre 2009, avait pour fil rouge le thème des lieux. Le numéro deux, récemment paru, est construit presque comme un livre-jeu. Il présente des textes et des images savamment mis en relation autour du thème de la nourriture. Tommaso Soldini a répondu aux questions de Roberta Deambrosi au nom de la rédaction de Ground Zero. Une rédaction éphémère: elle ne durera que le temps de cinq numéros. Mais son impact est certain: le dialogue est bel et bien lancé entre les lecteurs et les auteurs de la revue, qui compte pour ce seul numéro près de 40 collaborateurs.