Le ultime parole di Ground Zero
C’era una volta l’angelo della morte. Diceva di aiutare la gente ad andarsene con dignità. Si aggirava nei corridoi degli ospedali, delle case per anziani, negli appartamenti non del tutto protetti. Pensava di sapere quel che faceva, ma la sera, quando tornava a mescolarsi agli altri, guardava a terra. Forse perché negli ultimi tempi lo chiamavano in molti. Anche quelli che tanto la fine è una cosa lontana, quelli che si dovrebbero limitare ad affogare non si sa bene che cosa, gente che è stanca troppo presto. L’angelo non vorrebbe occuparsi degli ultimi nati, vorrebbe baciare gli occhi di chi non sa parlare di speranza, di chi tira notte all’Agip o sotto il cartello “vietato incontrarsi sul sedime della scuola”. Invece i tempi sono cambiati. Il lavoro si è fatto strano e lui a volte non sa più che cosa pensare. Se morire può essere una bella cosa.
Ground Zero è arrivato all’ultimo numero. Cinque libri per cinque anni che hanno cercato di raccontare i luoghi, il cibo, le persone, i rifiuti e ora il futuro del Ticino contemporaneo. Un viaggio che è nato e si è sviluppato soprattutto grazie alla carica positiva di chi l’ha animato, più di cento collaboratori che hanno disegnato, fotografato, dipinto, poetato, narrato, cercato le parole e le sensazioni non sempre nascoste, ma neppure sufficientemente espresse di chi vive il Ticino di adesso. Sono arrivate molte storie, molta voglia di ricamare quello che tutti sanno, di dire quello che molti non hanno ancora la voglia di vedere. Laureati senza lavoro, emarginati senza centro, stranieri in casa propria, desideri di ascolto che pagina dopo pagina si sono adattati ai colori delle cose e, forse, le cose hanno cominciato a cambiarle.
Nell’ultimo numero, che verrà presentato domani pomeriggio all’ex Asilo Ciani di Lugano, si parla del futuro, si cerca il confine tra l’oggi e il domani. Ancora una volta due spinte contrastanti si sono impastate a vicenda. Da una parte è difficile non rilevare il numero importante di racconti o riflessioni distopiche, vicende che prospettano un mondo oscuro, dominato dall’incomprensione, dalla malattia, dai corpi definitivamente mercificati o sbrindellati, dall’assenza di pavimenti, di certezze in genere. Eppure, contemporaneamente e dall’altra parte, come tacere l’ennesima prova della infaticabile volontà di creare o almeno di riflettere che ancora una volta ha convinto trenta tra artisti, scrittori, saggisti, a collaborare e contribuire al confezionamento del numero? L’angelo della morte è ancora più in difficoltà. Tutto appare chiaro a chi indossa gli occhiali da sole. Noi speriamo che possa bastare a dimostrare che il desiderio, oggi, ha assunto questa forma spesso mesta. Che resta desiderio.
Perciò è tempo di morire NON per le generazioni che si sono affacciate, stanno per farlo, hanno da fare. È tempo di morire per Ground Zero, che ha dipinto la carta di quello che, si spera, andava detto. Un suicidio simbolico felice che chiede di essere imitato: da quelli che occupano le poltrone del comando eppure disprezzano chi per una sera si riappropria delle strade dei propri quartieri; da quelli che piazzano i loro uomini; da quelli che insultano; da quelli che non assumono; da quelli che i soldi sono come i dolori, si tengono nascosti.
Un suicidio felice che chiede di essere festeggiato, sabato dalle 14.00 alle 24.00 all’ex Asilo Ciani. Chi verrà potrà attraversare molte delle opere che hanno riempito le pagine della rivista, potrà ascoltare le parole degli scrittori, dei saggisti, di chi ha condotto le inchieste in questi anni, potrà assistere a una tavola rotonda dal titolo “Finire nel reale”, e ascoltare musica. Ma soprattutto, chi deciderà di raggiungerci, contribuirà un’ultima volta a rendere Ground Zero un momento di libera espressione, un’enclave ribelle che scaccia l’angelo della morte, per continuare a dire: “C’era una volta”.